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martedì 19 giugno 2012

NOTIZIA D'ARCHIVIO Cade elicottero dei vigili del fuoco: 5 morti (20 giugno 2000)

Cade elicottero dei vigili del fuoco: 5 morti Cercavano due dispersi vicino a Tivoli. Tranciati cavi dell' alta tensione: «Non erano segnalati» DAL NOSTRO INVIATO VICOVARO (Roma) - Due pastori dicono di aver sentito un rombo forte e cupo pochi minuti dopo le 8.30 di ieri. Poi, subito, il pinnacolo di fumo s' è alzato in cima al canalone che quasi divide la montagna. L' elicottero dei vigili del fuoco è precipitato dopo aver tranciato due fili dell' alta tensione. A Forcelle, tra Vicovaro e Rocca Giovine, vicino a Tivoli, sono morti carbonizzati quattro vigili e il volontario della Protezione civile che erano a bordo. Cercavano due escursionisti, padre e figlio, smarritisi, al tramonto di domenica, tra i sentieri ripidi del bosco. Il velivolo, modello AB 412, nome in codice «Drago 56», si è alzato in volo dalla base di Ciampino alle 6.15. Due ore dopo, l' interruzione dei contatti radio. Proprio nei minuti in cui veniva individuata la posizione di Carlo Verrè, 40 anni, e del suo figliolo Cosimo, 9 anni. Anche loro raccontano di aver sentito il rumore provocato dall' esplosione. Perché l' elicottero, toccando il suolo, è letteralmente scoppiato, incendiandosi. Ci sono schegge di lamiera sparse nella boscaglia. Un casco rosso è rotolato a trecento metri. Ciò che resta dell' abitacolo, completamente carbonizzato, è schiacciato contro tre alberi. I vigili del fuoco, che per venire a recuperare i corpi dei propri colleghi han dovuto usare la sega elettrica, abbattendo cespugli secolari, faticano a stabilire il numero esatto dei cadaveri e la loro identità. Per accertarla, occorrono oltre due ore. Poi annunciano che le vittime sono il pilota Gino del Zoppo, da Rieti, 47 anni; il copilota Massimo Frosi, di 32; l' esperto di comunicazioni Paolo Martinelli, di 47 e il motorista Fabio Petrazzi, di 37. Del Zoppo, Martinelli e Petrazzi erano sposati e ciascuno lascia due figli. Con questi quattro vigili volava anche un volontario, Antonio Marcheggiani, 50 anni. L' equipaggio era esperto. Questo lo dicono tutti. Ma è Liborio Pilato, l' ispettore generale del Lazio dei vigili del fuoco, ad affermare che «la colpa di questa tragedia è dell' Acea». È appena sceso dal bosco, suda, parla con voce ferma: «Lassù i cavi dell' alta tensione non sono segnalati con i palloni, come prevede la legge. E non solo: nemmeno i tralicci sono dipinti di bianco e di rosso per essere visibili». Aggiunge che «così, il pilota dev' essersi trovato, improvvisamente, in una situazione difficile: con il sole che sorgeva da dietro la montagna, accecandolo, e con i fili neri che, stagliati sul bosco ancora in ombra, erano praticamente invisibili». Dall' Acea in una nota si fa osservare che «la costruzione e l' esercizio dell' elettrodotto implicato nell' incidente sono stati debitamente autorizzati dalle autorità competenti». Sui tralicci c' è anche una polemica con gli ambientalisti che li vorrebbero invece dipinti di verde. Ai vigili del fuoco arrivano i messaggi di solidarietà del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e dei presidenti del Senato, Nicola Mancino, e della Camera, Luciano Violante. Scende dalla montagna il sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Lidia De Jure, responsabile dell' inchiesta, e invece sale il parroco di Vicovaro, padre Benedetto. «Vado a benedire i corpi di cinque eroi». Parole di struggente partecipazione da parte di Carlo Verrè e suo figlio Cosimo, i due escursionisti che un capitano dei carabinieri interroga nella stazione di Marcellina, alle pendici del monte Gennaro. «Eravamo in otto, due famiglie di appassionati della montagna: siamo partiti sabato mattina e domenica, sulla via del ritorno, io ho sbagliato ad imboccare un sentiero. Un errore che ha ucciso cinque persone». Poi si mette il maglione sul viso. «Niente foto. Non sono Totò Riina». Fabrizio Roncone LA TRAGEDIA Tra le vittime anche un ex parà cinquantenne: aveva fondato un' associazione di volontariato ROMA - «Era stato tutta la notte sul monte a cercare i dispersi. Al mattino, invece di andarsi a riposare, è salito sull' elicottero dei vigili del fuoco per continuare le ricerche. Lui conosceva quelle montagne meglio di chiunque altro e sapeva calarsi negli anfratti. Aveva 50 anni e una figlia di 19. No, non era un militare, era un impiegato di banca, da 20 anni partecipava alle operazioni di salvataggio come volontario. Era un ex parà, era stato ufficiale di complemento nella Folgore». Questo il ritratto di Antonio Marcheggiani, una delle cinque vittime del disastro aereo. A tracciarlo è Livio Gherbaz, volontario dell' associazione Giannino Caria, fondata dal Marcheggiani. A Casali di Mentana, nei pressi di Roma, sta assistendo la famiglia sconvolta: «Da quando ha fondato l' associazione, Antonio ha salvato molte vite, ma non l' ho mai sentito vantarsi. Era un uomo schivo, che in questi 20 anni ci ha trasmesso alcuni valori. Lo ha fatto con l' esempio, sacrificandosi fino all' ultimo». Una fatalità quell' ultimo sforzo, quel balzo sull' elicottero, dopo una notte di marce forzate. Anche Giannino Caria, che Antonio aveva scelto per dare un nome alla sua associazione di volontari (una trentina, tutti ex parà) era morto allo stesso modo, per fare di più, per dare il massimo. Giannino era un paracadutista incursore. Nel 1971, quando un Hercules con 52 soldati a bordo s' inabissò vicino a Livorno, andandosi a depositare sulla secca di Meloria, profondità 90 metri, lui fu il primo a immergersi per recuperare le salme dei commilitoni. Al ritorno in superficie morì d' embolia. «Ho letto che esisterebbe un business del volontariato - continua Gherbaz -. Posso dire che l' associazione Giannino Caria esiste solo perché paghiamo tutto di tasca nostra. E Antonio ha pagato con la vita. Vorrei che questa tragedia servisse almeno a far riflettere tutti quelli che affrontano la montagna con leggerezza, come fosse un parco cittadino. Qualcuno dovrebbe sensibilizzarli, perché ci sono comportamenti, a volte, che rasentano la stupidità».

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